Ogni volta che mi trovo in aula per la prima volta con gruppi di persone, che siano medici, avvocati, commercialisti, artisti, team aziendali… o in una sessione individuale di coaching, sono spettatrice di reazioni del tipo, “Bello, interessante! Però…”, e i però possono essere diversi: però è difficile, però non ho tempo, però non ho soldi, però nel mio campo è diverso, però potrebbe essere più utile a… (e qui per chiunque altro o per qualunque altro ambito può avere applicabilità straordinarie ma nel loro no!) e così via.
Eppure persino Charles Darwin diceva: “Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno la più intelligente. Sopravvive la specie più predisposta al cambiamento”.
In realtà, il cervello umano è abitudinario. Le ricerche e gli studi delle neuroscienze dimostrano che le abitudini derivano dai cambiamenti nell’attività neurale nel cervello. Studi più recenti hanno identificato quali parti del cervello e quali neuroni sono specificatamente responsabili della creazione delle abitudini da parte dell’essere umano. Ecco perché, di fronte a un cambiamento, a qualcosa di nuovo, scattano automaticamente delle resistenze, appunto, i però, che possono assumere forme diverse e derivare da motivazioni diverse, in base ai soggetti e ai contesti. Ho voluto riportare quelle che ritengo le più frequenti:
1. Mancanza di comprensione e consapevolezza sulla necessità del cambiamento
2. Mancanza di comprensione e consapevolezza sui benefici del cambiamento
3. Mancanza di motivazione
4. Attaccamento alle vecchie abitudini
5. Paura dell’ignoto
6. Paura di sbagliare
7. Percepita mancanza di risorse/competenze
8. Bassa fiducia (nell’organizzazione, nei team leader e/o nel processo di cambiamento stesso)
9. Scarsa comunicazione e coinvolgimento nel processo di cambiamento (all’interno di gruppi e/o organizzazioni, per esempio)
10. Rifiuto di mettersi in discussione

Questo è il motivo per cui magari, nel corso degli anni, mi sono sentita dire dagli avvocati che sì, gli strumenti per comunicare efficacemente sono affascinanti, e utilissimi, ma magari più utili per i commercialisti, oppure dai commercialisti che si, tutto molto bello, ma nel loro mercato è più difficile… o dagli imprenditori, per non parlare degli artisti!
Addirittura mi è capitato che dei medici specialisti mi abbiano detto che certamente le competenze di comunicazione e coaching potevano essere davvero utili per i loro colleghi di medicina di base, esattamente come è accaduto il contrario, cioè, che alcuni medici di base mi abbiano detto che erano strumenti davvero interessanti e che sarebbero potuti essere incredibilmente utili ai loro colleghi delle varie specializzazioni.
Tutto questo per dire che, in quanto esseri umani, abbiamo le nostre abitudini e facciamo fatica, tutti, a uscire dalla nostra “zona di comfort”, dalla nostra routine, perché è quella che ci dà sicurezza, e che non necessita di nuovi sforzi e apprendimenti particolari.
Anche in questo, tuttavia, ci sono di sostegno alcune evidenze scientifiche e le ricerche sui fattori di successo e autorealizzazione: proprio coloro che mantengono una curva di apprendimento costante, nel senso che imparano sempre qualcosa di nuovo, che scelgono di acquisire nuove abitudini, più funzionali, e lasciar andare quelle che non servono più, proprio coloro che sono disposti a uscire dalla loro zona di comfort per sperimentare cose nuove e modi diversi di fare le cose, raggiungono livelli di performance migliori e più risultati, in qualsiasi ambito della loro vita.
Si perché l’abitudine NON è negativa di per sé, anzi, tutt’altro! Dipende ovviamente dalla qualità delle abitudini: per Aristotele l’eccellenza era un’abitudine, mentre Jim John definiva il successo “niente altro che poche discipline semplici, praticate ogni giorno” così come del fallimento diceva che “non è un singolo cataclisma. Non fallisci nottetempo. Il fallimento è alcuni errori di giudizio, ripetuti ogni giorno”.
Ecco perché la qualità delle tue performance, la qualità e la quantità dei tuoi risultati nella tua vita personale e professionale dipende dalla qualità delle tue abitudini su tutti i livelli (ambiente, comportamento, capacità, convinzioni/valori, identità e scopo) e da quanto queste ti portano a esprimere il massimo del tuo potenziale.
Il coaching si occupa proprio di questo. John Withmore, autore britannico e pioniere del Coaching, affermava che il coaching è “liberare il potenziale di una persona per portare al massimo le sue performance. Si tratta di aiutare le persone a imparare piuttosto che insegnare loro” per, aggiungo io, aiutarle a diventare autonomi in un percorso costante di crescita e miglioramento personali e professionali, sostituendo abitudini, convinzioni e comportamenti depotenzianti con altri più funzionali e potenzianti.
Qual è la tua esperienza in merito? Ti è capitato di voler cambiare qualcosa della tua vita personale o professionale e di ritrovarti sempre allo stesso punto?
Grazie
Emanuela
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