A 25 giorni dal Decreto #iorestoacasa del 9 Marzo, prendendo spunto da un’indagine online sui principali bisogni riscontrati dai medici, condotta da Medipragma nella terza settimana di marzo 2020, cioè, in piena emergenza Coronavirus, e dai primi risultati dello studio sui fattori di successo nell’ecosistema salute (Success Factor Modeling for Healthcare) condotto da me insieme a Robert Dilts, autore, consulente e ricercatore americano, ho fatto qualche riflessione.
Nell’articolo pubblicato su Linkedin Lucio Corsaro (Medipragma) scrive espressamente: “è importante tenere conto che quando cerchiamo di rispondere alla domanda “di cosa hanno bisogno i medici in questo momento?”, che sta avvenendo una ridefinizione delle priorità e tipologia di bisogni dei medici, come della stessa popolazione italiana, in cui il bisogno va analizzato e identificato nella prospettiva di tre macro dimensioni: FUNZIONALE, SOCIALE, EMOZIONALE.”
Sono andata a cercare il significato etimologico di questi tre termini:
FUNZIONALE, da funzione, che deriva dal latino functiònem, da fùnctus, participio passato di fùngi, che significa esercitare, accudire, compiere;
SOCIALE, dal latino sociàle, composto da socius che significa compagno (colui che accompagna, che si unisce a un altro in un’impresa comune) e dalla terminazione -àlem che indica appartenenza o dipendenza. Sociale, quindi, che riguarda la società;
EMOZIONALE, da emozione, che deriva dal latino emotiònem, da emòtus, participio passato di emovère, che significa trasportar fuori, smuovere, scuotere; i significati che gli vengono attribuiti sono agitazione, sollevamento di spirito, entusiasmo o commozione.
Tutt’e tre le dimensioni evidentemente fondamentali, complementari e interdipendenti, cioè, l’una ha bisogno dell’altra e nessuna può fare a meno dell’altra. L’intenzione non è quella di fare della facile retorica ma semplicemente soffermarmi su alcuni aspetti che, ahimè, vanno molto indietro nel tempo:
“GIURO
…
di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
…
di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana…
di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;
…
di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali;
…
di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica;
di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente;
di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;
…
tratto dal Giuramento di Ippocrate (testo moderno)
Probabilmente ai tempi di Ippocrate non c’erano le mascherine e i respiratori, ma sicuramente c’erano altre materie prime e supporti fondamentali e doveva esserci tutto il necessario funzionale a curare tutti i pazienti e prestare assistenza d’urgenza; esattamente come il ruolo sociale era considerato evidentemente un cardine e, infine, non certo per importanza, l’aspetto emozionale era presente in tutto ciò che era compreso nel pacchetto del prendersi cura di un paziente, dell’importanza del “conoscere che tipo di persona abbia una malattia, che sapere che tipo di malattia abbia una persona“, prendendo sempre in prestito le parole dell’antico medico greco.
Ippocrate a parte, facendo riferimento al Codice Deontologico Medico dove, proprio anche per evidenziare il ruolo sociale della professione medica, in alcuni articoli il termine “paziente” è stato sostituito dal termine “cittadino”, così come l’articolo 77 sulle attività nell’interesse della collettività sottolinea il ruolo che il medico deve avere nella società.
Ora parliamo un attimo della dimensione emozionale che, insegnando da dieci anni comunicazione medico-paziente agli studenti di medicina e ai professionisti della salute, è un tema a me caro e di cui ho scritto tante volte.
Come è possibile che nell’essere a contatto ogni giorno con persone che soffrono, ti raccontano i loro dolori, muoiono, assistono familiari malati, combattono per conquistare e riconquistare la salute, un po’ di benessere o, in alcuni casi, soltanto un po’ di sollievo, e loro, i medici sono lì, a combattere con loro e per loro, non fosse contemplata, non più di tanto almeno, la dimensione emozionale?
Vogliamo davvero raccontarci questa storia? E, soprattutto, vogliamo davvero crederci?
Salto poi a qualcosa di più recente, ai primi risultati dello studio Success Factor Modeling for Healthcare che sto conducendo sui fattori di successo nell’ecosistema salute, che sono stati presentati a Roma il 31 gennaio e il 1° febbraio 2020, cioè, prima dell’emergenza Coronavirus in Italia. Credo che sia significativo che i principali fattori di successo emersi abbiano a che fare con l’engagement, l’empowerment, l’esperienza/competenza, l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione di assistenza sanitaria; che le prime tre competenze identificate come fattori di successo siano state nell’ordine: competenze di comunicazione, competenze di problem solving e intelligenza emotiva.
Fattori di successo, quindi, che si trasformano in bisogni quando vengono sottovalutati e/o ignorati.
Allora, onestamente, la domanda che mi sorge spontanea è:
è possibile che le tre dimensioni, quella funzionale, sociale ed emozionale, siano sempre esistite e che forse, nel frattempo, ci siamo persi qualche pezzo per strada?
Ci siamo dimenticati qualcosa? E volutamente uso il plurale perché forse è proprio come collettività, come sistema, che ci siamo persi qualche pezzo. Sarebbe troppo facile accusare questa o quella categoria, mentre credo un pezzetto di responsabilità ce l’abbiano e ce l’abbiamo un po’ tutti, dall’ambito politico e amministrativo che non hanno fatto che complicare il lavoro del medico riducendo a dismisura le risorse sotto vari punti di vista, a quello dell’istruzione e della formazione che si è ben guardata di aggiornare i programmi didattici universitari e di specializzazione e quelli di educazione continua dei professionisti della salute, sottovalutando o, in alcuni casi, ignorando del tutto, determinate competenze che oggi, anche grazie a un’indagine come quella di Medipragma, abbiamo il coraggio di definire “bisogni” , a quello più strettamente sociale e civico, ecc.
Ecco perché ho voluto scrivere questo articolo: perché, forse, insieme a riflessioni importanti e significative di tanti altri che ho letto e sentito in queste settimane, potranno aiutarci a far sì che tutto questo, almeno, non sia accaduto invano. Per non dimenticare, ma ricordare tutto quello che servirà per soddisfare questi bisogni e renderli quello che sono e possono realmente essere: fattori di successo.
Grazie
Emanuela