Il nemico della fotografia è la convenzione,
le regole fisse del “come fare”.
Questa è una citazione di una delle figure più importanti dell’avanguardia fotografica, Laszlo Moholy-Nagy; l’ho letta all’interno della esposizione fotografica intitolata DON’T – Photography and the art of mistakes (NON – La fotografia e l’arte degli errori) al Museo d’Arte Moderna di San Francisco (SFMOMA); mi ci sono soffermata non solo per le fotografie in sé ma per le riflessioni e la metafora che rappresenta per la vita di ogni essere umano.
Ho già affrontato in un altro articolo il tema del magico potere del fallimento e questa mostra affronta, nello specifico, alcuni errori nel mondo della fotografia che hanno permesso la creazione di “nuove tecniche” vere e proprie.
Il titolo, DON’T, prende spunto da un articolo di Alfred Stieglitz, “Twelve random don’ts”, pubblicato nel 1909, che prendeva in giro gli elenchi che affermavano cosa costituiva una fotografia buona o cattiva. L’arte moderna è stata parzialmente costruita sulla sovversione sistematica delle regole in un’epoca storica in cui dominava un’ideologia basata su ciò che era giusto o sbagliato. Tra il 1920 e il 1950 alcuni fotografi trasformarono i più comuni errori tecnici, inclusi l’offuscamento, la sovrapposizione e la solarizzazione, in dichiarazioni estetiche. Vediamone insieme alcune:
La solarizzazione: un termine generico per una serie di tecniche di sovraesposizione, sia del negativo quando è ancora nella fotocamera sia della stampa durante lo sviluppo nella camera oscura. La luce in eccesso, infatti, provoca una parziale inversione dei toni.
I fotografi modernisti hanno rivelato i diversi modi in cui potevano usare la natura imprevedibile della solarizzazione per aggiungere possibilità al loro lavoro e creare un’atmosfera surreale.
Il fuori fuoco: uno dei maggiori punti di forza della fotografia è la capacità di rappresentare il mondo con chiarezza e veridicità. Guidati dal desiderio di piegare e infrangere le regole, molti fotografi modernisti hanno invertito questo principio centrale producendo volutamente fotografie fuori fuoco, dimostrando in questo modo che la fotografia può nascondere tanto quanto rivelare.
La doppia esposizione: un tipico errore che commettono gli amatori che non riescono a far avanzare i loro rullini o a cambiare i negativi di vetro. Quando succede, non si scopre fino a quando la fotografia non viene sviluppata.
Riuscire a far esistere contemporaneamente due diverse realtà nello stesso frame si adattava agli interessi dei fotografi modernisti verso la psicanalisi; l’effetto onirico sembra dare forma visiva ai pensieri e ai desideri inconsci. Per esempio, corpi nudi sovrapposti suggeriscono sfumature psicosessuali, così come, sovrapponendo due viste leggermente spostate dello stesso soggetto può trasmettere anche un senso di doppia personalità.
L’effetto movimento: mentre normalmente un fotografo vuole fermare il movimento di un oggetto, se l’oggetto si muove troppo rapidamente si registrerà sulla pellicola come una sfocatura. Questo è dovuto al fatto che la fotografia non può catturare momenti “congelati” in tempo, ma piuttosto durate molto brevi. Se la fotocamera è ferma, l’oggetto in movimento può apparire anche allungato o altrimenti distorto. Per evitare questo i fotografi dovrebbero usare un’alta velocità dell’otturatore, una luce adeguata e una pellicola a elevata sensibilità.
La crescente velocità della vita contemporanea ha affascinato gli artisti modernisti che lavorano in diversi ambiti. Anche la fotografia ha accelerato, con nuove tecnologie che producevano istantanee che sostituivano i formati più vecchi che necessitavano di un tempo maggiore di esposizione. I fotografi modernisti asposarono l’effetto movimento per la sua abilità di articolare la velocità e il movimento; molto più delle doppie esposizioni, i ritratti sfocati rappresentavano un modo per dare forma visiva agli stati psicologici.
I riflessi: come le doppie esposizioni, i riflessi offrivano ai fotografi modernisti la possibilità di rappresentare due realtà nella stessa fotografia, visibili agli occhi nudi e alle lenti della fotocamera.
Le ombre: se un fotografo si posiziona tra il soggetto e il sole la sua ombra può entrare nel telaio dal bordo inferiore. Questo errore comune disgrega la composizione e distoglie l’attenzione dal soggetto primario e ha anche l’effetto deleterio di rivelare la presenza del fotografo, distruggendo l’illusione della macchina fotografica come sguardo imparziale. Per eliminare queste ombre il fotografo dovrebbe mettersi con il sole da una parte o fotografare in un giorno con luce del sole e delle nuvole più diffusa.
I fotografi modernisti hanno valorizzato le ombre, in particolare quelle delle loro sagome, perché ricordavano allo spettatore che dietro alla fotocamera c’era qualcuno a orchestrare lo scatto. Per questi artisti la fotografia non era soltanto una copia ma un’impressione del mondo.
Perché come Coach ho voluto dedicare un articolo a questa mostra e, in particolare, all’arte degli errori?
Perché che cosa sono in sostanza il Coaching, la resilienza e tanti altri concetti che appartengono al mondo del coaching come il “fail faster, fail better!” (“fallisci più velocemente, fallisci meglio!”) di Samuel Beckett, se non un utilizzo intelligente, creativo degli errori, per unire i puntini e mettere (o rimettere) insieme i pezzi in modo funzionale al nostro tempo, alla nostra meta, al nostro scopo, ai nostri obiettivi e… alla nostra direzione, uscendo dagli schemi, pensando “out of the box”, andando oltre quelle regole/limiti che abbiamo? E non importa se ce li ha inculcati qualcun altro o se ce li siamo inculcati da soli, importa il fatto che su quegli errori, quei limiti possiamo costruire davvero la nostra arte.
Ecco perché, come ho scritto altre volte, mi sono innamorata del Coaching: perché non ha a che fare con il dare agli altri ricette o formulette preconfezionate per il successo o per la felicità o nell’insegnare loro come fare, ma consiste nell’aiutarli a trovare la loro direzione, la loro strada, le loro risposte e il loro “come fare”.
Ecco perché con tutto il rispetto per la citazione con cui ho aperto questo articolo vorrei prendermi una piccola licenza “poetica” o, meglio, autorale per scrivere:
Il nemico della vita è la convenzione, le regole fisse del “come fare”.
Grazie
Emanuela